Scrittore è, per me, colui il quale possiede l'empatia per annichilire sé stesso nei propri personaggi: non deve capire le sue creature, deve essere loro, al fine di recuperare l'unico motore degli eventi: la volontà.
Deve gestirne volontà, paure, desideri, gusti, ed essere in grado di recuperare sé stesso dall'universo in cui ha nebulizzato la propria visione delle cose.
È un maestro dell'arte dell'autoanalisi: che è un'arte appunto, e non una scienza. Niente di meno obbiettivo. Nessuno può suggerirti quando troncare l'approssimazione del tuo inconscio.
Ricollego infine l'analisi matematica alla psicologia: è l'unico punto su cui ritorno con una sorprendente coerenza.
Negli ultimi tempi, penso di nuovo spesso al suicidio; è una buona notizia, tutto sommato, perché fintanto che ci penso sono sicuro di non commetterlo, e ciò mi tranquillizza. Tento di essere l'analista di me stesso, di fatto con non poche difficoltà. Annoto le mie sensazioni, lascio che la soluzione si schiarisca e che il fondo si depositi e cristallizzi, al fine di riuscire, al momento giusto, a decifrare il mio stato d'animo attuale. Lo faccio con la pazienza di un ricercatore convinto delle proprie idee, ma senza strumentazione. Il mio personaggio, non io, è il frutto di un'analisi retrospettiva e ha difficoltà nel produrre aspettative sul futuro.
La mia donna è una proiezione della mia mente; è una pagina vuota, letteralmente, al punto che ho difficoltà ad immaginarne l'ingombro del seno ed il calore, il calore del corpo. Sogno di scriverle addosso le citazioni che preferisco, magari che preferiamo. Differisce da M. per il fatto che mi chiedo cosa desideri a sua volta.
Cosa sei diventato, ora che rileggi le tue parole?
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