Tuttavia, sempre più spesso, discutendo con amici, conoscenti e, perché no, estranei, ribadisco la mia posizione: ci rendiamo conto della realtà solo nel momento in cui la percepiamo, e comunque nel modo in cui la rielaboriamo in maniera del tutto personale. Certo, spesso capita di trovare persone che condividano alcune delle nostre percezioni, almeno fino ad un certo livello (credo che in fondo tale percezione non sia mai la stessa per due persone, ed addirittura in noi stessi essa cambi a seconda delle esperienze vissute e degli stati emotivi), ma questo non basta a convincermi che la realtà "oggettiva", ed intendo quella che dovrebbe pur esistere dal momento in cui noi la percepiamo e rielaboriamo, sia più importante di quella che creiamo in noi e per noi.
Ma... c'è un ma!
In questo quadro, non capisco in che maniera vadano interpretate le relazioni umane, che pure fin dai tempi degli antichi greci (e probabilmente anche prima) vengono elette ad esperienza imprescindibile dell'esistenza umana, diventandone addirittura, in alcuni casi, il fine ultimo.
Il mio dubbio, che probabilmente permetterebbe di comprendere meglio tutto questo mio sproloquio che a tratti potrebbe sembrare insensato (persino a me stesso) è difficile da esprimere in forma di domanda esplicita. In pratica, la mia visione soggettiva della realtà mi porta al contrasto tra la figura dell'altro come parte della mia esperienza e quella dell'altro come creatore di una realtà alternativa alla mia, seppur coesistente, di cui io non sono altro che un attore. Probabilmente non mi sono spiegato ancora bene.
Diciamo che mi sembra di essere l'autore di un libro che parla di un autore che scrive di me (ho davvero bisogno di leggere di più, se questo è il miglior modo in cui riesco ad esprimermi!).
Luca al telefono; continuerò (forse) in un altro momento.