Ad un certo punto, ho guardato Tara negli occhi; sono ormai un bel po' di anni (inutile buttare cifre a caso, non ricordo il numero esatto - Iole riderebbe pronunciando con voce acuta "Alzhaimer") che siamo assieme, e le ho chiesto se se ne rendesse conto. Ovviamente non ha risposto niente - non a parole, comunque.
Ma i suoi occhi. Così dannatamente grandi. Quando li fisso con attenzione mi sembra di annegare nelle pupille grosse quanto biglie, nere come la notte in Sardegna. Mi sono reso conto che, prima o poi, abbandonerà il mio presente e continuerà a pretendere carezze dove io non potrò più lamentarmi della sua affettuosa insistenza; il tempo perso senza lei, anche ora, mentre l' ho allontanata per poter annotare qualche pensiero vagante, mi sembra un crimine insensato.
Però... potrebbe essere anche il contrario.
Chi può dirlo?
Il fatto che i cani vivano meno degli uomini non significa necessariamente che non potrei essere io ad andarmene (dove?) per primo; sorrido mentre penso che manterrebbe alto il nome di Hachiko, eppure mi auguro che mi dimentichi in fretta, che torni a correre avanti ed indietro sul balcone per abbaiare alla sua simile invisibile, che vive oltre la torre in cui è stata rinchiusa.
Il destino dell' uomo, fin dalla nascita, è quello di intrecciare relazioni. Fin dal momento in cui gettiamo il nostro primo sguardo sul mondo, abbiamo già in noi il rapporto con l' incubatrice vivente che ci ha scarrozzati in giro per tre quarti di anno; persino i più sfortunati, non possono fare a meno di ripensare al legame materno, una volta che la coscienza inizi a far capolino nel cranio.
E comunque, nessuno può evitare di incontrare qualcuno: al più, può decidere di tenere a distanza chiunque.
Sto divagando, ma come al solito va bene così; alla fine scelgo sempre la via meno agile per la meta, ed a costo di interrompermi bruscamente e di dover ritornare sui miei passi, non voglio perdermi la spontaneità di una passeggiata solitaria.
Almeno qui non dovrei incontrare nessuno... (M. ride, da qualche parte, nascosta dietro un albero dalla corteccia particolarmente rugosa)
La ignoro, oggi non mi va di parlarmi.
Dicevo: tutto bello, tutto carino, fino a che uno dei due elementi in relazione sconvolge le carte in tavola.
Non posso credere che ci si abitui agli addii; credo che sa le persone riuscissero a scrutare la definitività di questo vocabolo, non lo sentiremmo (o leggeremmo) così spesso. Ogni addio è la separazione permanente di due entità; è la cessazione totale di una delle due; parziale per l'altra (e dunque totale anche per essa, in qualche modo).
Insomma, scrivo frasi, ed a volte le cancello per evitare di giungere alla domanda che mi assilla, e quindi la riporto, a bruciapelo:
"Vale la pena di amare, sapendo che prima o poi finirà? Che qualcuno soffrirà così tanto poter considerare l' idea della morte, piuttosto che sopportare il dolore?"
Che nessuno sarà talmente contento da non pensare a vivere, pur di non godere del piacere?
Ho provato ad invertire il senso della seconda domanda, a pezzi, probabilmente compiendo qualche errore in più di quelli fatti intenzionalmente - ma ancora una volta, non ha alcuna importanza.
...
Gente in casa. Corro il rischio che qualcuno legga. Non mi va. E comunque, ho perso il filo.
Lo ritroverò. O magari no. Poco importa. Teodora (cosa le sarà successo? ho la sensazione che venga investita, nonostante Grossman non lo dica esplicitamente) direbbe che non esistono cose senza importanza. Magari potrebbe avere ragione.
Valuterò.
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