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It's hard to dance with a Devil on your back, so...

Immagine di Kyendo

Dell'intimità degli estranei, e dell'estraneità degli intimi.

Estranei svuotano il loro cervello sul muro,
il sangue gronda, grumoso,
fasullo come vernice rossa e reale
come la morte in uno schermo.

Scivola scarlatto sibilando in spirali,
posticcio fluire senz'altro sfogo.
Lo raccolgono in tazzine da caffè,
o nella cristalleria scadente di un cocktail.

Urla che reclamano una voce nello schiamazzo generale,
eppure, a malapena sussurri.
Non capisco,
ma talvolta mi adeguo.

È strano;
mi sono sempre sentito più al sicuro in un vecchio maglione,
che nudo in piazza.

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Dell'eroismo, e della modestia.

Centinaia di nomi ad indicare altrettanti individui notevoli affollano le pagine.
Fossi stato Gutenberg, avrei dovuto produrre un quantitativo ridicolo dei caratteri per poter scrivere il mio nome; assurdità doppia di G ed e!
(no, di G no, i caratteri per il maiuscolo ed il minuscolo sono distinti - facciamo solo di e)
Avrei Gutenberg potuto Gutenberg esigere Gutenberg che Gutenberg in Gutenberg ogni Gutenberg testo Gutenberg il Gutenberg mio Gutenberg nome Gutenberg si Gutenberg alternasse Gutenberg tra Gutenberg una Gutenberg parola Gutenberg e Gutenberg l'(Gutenberg)altra Gutenberg.
Ma la genialità non necessità ovazioni continue; non per come vorrei intenderla, per lo meno.
Ho bisogno che la genialità sia modesta: abbiamo fin troppo colpe collettive per poterci rallegrare per ogni successo del singolo.
Quanti geni tra i nostri defunti.
Sono affetto da sindrome del sopravvissuto: cosa faccio per meritarmi l'esistenza?
Dannato ordine cosmico: se solo avessi potuto donare qualche decennio in più ad Einstein...
Qualcuno si vota alla battaglia del diritto. Causa nobile, ma demistificabile: cosa farei non avendo nulla da offrire, se non la speranza che qualcuno abbia un giorno la possibilità di offrire qualcosa - se ho successo, si ricorderanno di me lo stesso, ed avrò raggiunto comunque il mio obbiettivo.
Sarò un nome, entrerò in eterno nell'Olimpo dei mortali. Potrei addirittura ispirare qualcuno, chi lo sa?

Persona orribile, a pensar questo degli eroi, no?
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Del "golpe"

Ho dovuto cercare "golpe" sul dizionario, lo dico senza vergogna; ogni parola usata è una parola di cui una volta si ignorava il significato.

Onestamente, mi piacerebbe tenere a qualcosa così tanto; ma sono troppo preoccupato dal fatto che l'energia disponibile nell'Universo continui a calare.


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Spaccato - assolutamente soggettivo - della società moderna

Ogni volta che riprendo a scrivere in questo blog, anche -sopratutto- quando non me ne rendo davvero conto, lo faccio perché ho la sensazione che nessuno vorrebbe subire i miei vaniloqui; il che è stupido, dato che i miei amici restano pazientemente ad ascoltare, quando decido di leggere loro qualche stralcio di pensiero. La verità potrebbe essere che sono io a cedere al mio pessimismo, quando non gliene parlo.

Trascorro gli ultimi giorni leggendo "The walking dead" e studiando le leggi della termodinamica, concedendomi qualche break per un caffè, una sigaretta o un po' di sana tv spazzatura; anche quando esco per passare la serata in compagnia, spesso impiego un bel po' di tempo prima di sentirmi davvero a mio agio, e ricorro all'alcool per velocizzare il processo.
Non sono un alcolizzato, sono solo un figlio della mia epoca che cerca di analizzarsi al meglio delle sue facoltà, nei momenti di ottimismo come in quelli bui, per cercare risposte a domande che non ho mai saputo nemmeno ben porre.

Quando la nostra epoca sarà solo l'ennesimo capitolo dei libri di storia, ed il mio "io pensante" sarà bello che andato, qualcuno potrebbe trovare interessante analizzare i miei scritti - o magari no, davvero non saprei. Di fatto, al momento sono io a sentire la necessità di collezionare piccole ampolle di pensieri, dunque si comincia.
Italia, anno 2013.
Si fa un gran parlare di crisi (economica, morale, mondiale, e chi più ne ha più ne metta!), il che mi ricorda quando a scuola si studiano quei lunghi periodi di stasi che precedono avvenimenti epocali, ma non si è davvero in grado di cogliere l'umore delle persone, né tantomeno la loro individualità.
Il mondo sembra completamente impazzito, e non di rado capita di leggere o sentire le cronache dei suicidi, persone disperate che senza un lavoro non sanno come tirare avanti in una società che li identifica con il capitale di cui dispongono.
Le ultime elezioni hanno dimostrato che il cambiamento è possibile, ma il sogno è durato fin troppo poco, poiché la forza della disperazione non permette che un ultimo guizzo di fiamma (nulla di nuovo, sono sicuro che sarà già successo in mille luoghi ed occasioni, ma detestavo davvero troppo la storia per essere in grado di riportare qualche esempio).
Il problema -credo- è che non siamo in grado di immaginare un'organizzazione migliore, se non a toni sfumati quanto uno sfondo di Leonardo; ed anche chi fa delle proprie ipotesi certezza non può davvero essere in grado di prevedere le conseguenze a cui il più piccolo disagio può condurre, accrescendosi di anno in anno. Se devo essere onesto, trovo assolutamente stupido l'organizzazione in Stati che ci siamo dati; abbiamo i mezzi che potrebbero permettere a chiunque di vivere nella maniera che vuole e nel posto che ha sempre sognato, ma ognuno è troppo impegnato a racimolare per sè quanto più gli è possibile per preoccuparsi dell'altro. Ora capisco meglio il motivo che ha spinto storicamente il genere umano a credere che dopo la vita esista un posto migliore; non solo la speranza, ma il potere contenitivo  di trattenere la violenta indole umana è stato effettivamente qualcosa di necessario per permettere al nostro genere di attraversare i secoli. Quando essa viene meno, possiamo decidere di percorrere tre vie: cedere alle leggi della società, o quanto meno giungere a compromessi con esse, magari cercando di cambiarle a passi più o meno lunghi; ascoltare la natura brutale e ricorrere ad ogni mezzo pur di vivere secondo gli standard di quello che ci viene proposto come ideale di ricchezza; imparare di nuovo a gioire delle piccole cose -una bella giornata, il cinguettio degli uccelli, i raggi caldi del sole sulla pelle- e lasciare alle nostre elucubrazioni il ruolo di piccole investigazioni nel mare dell'ignoto.
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Dell'inesorabilità

L'accelerometro schizza, i secondi diventano minuti, e poi ore, ed ancora anni, e lentamente ma all'improvviso avrò finito di scrivere, di studiare.
Se la vita fosse un'auto starei sbandando.
Nemmeno la fisica mi aiuta a capire come comportarmi.
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... piacere, Davide.

Leggo quello che ho scritto, e a malapena mi riconosco.
Scrivo ancora, correggo il tiro, cercando di rendere di me l'immagine che mi sono dato; ma è un'impresa  interminabile - così spesso vario!
Hai qualche cosa da dire? Scrivi!
... e se così non fosse?
Se scrivessi per cercare il mio messaggio... insomma, che male ci sarebbe? Chi ha deciso che senza messaggio non può esserci testo? Reinterpretiamo la creazione. Dio probabilmente iniziò a plasmare senza avere la minima idea di quello che stava facendo - forse è stato meglio così!
La punteggiatura fa capolino qua e là; troppo spesso sottovalutata, introduce commenti, ritma il discorso, ordina i pensieri. Esaltazione della punteggiatura come mezzo espressivo! Potenza del segno pregno di significato.
Sul serio, lo avrai capito.
Non sai che dire.
Eppure lo fai; qualcuno pensa che dovresti impiegare meglio questo tempo, ma se Pennac, Poe, Moore e tutti gli altri avessero dato retta alla società dell'utile oggi ci ritroveremmo più poveri. Ambiguità della società produttiva: finché sogni sei un illuso, ma dimostra che la tua parola è commerciabile e -abracadabra- ti ritroverai coperto di onorificenze. E da lì il tracollo è prossimo, come un musicista che componga per soldi, dimentico della propria anima che in origine non riusciva a contenere se non consentendole la fuga in forma di armonia.
Ma quel tempo è finito.
Ed anche il tempo in cui potevi sperare nella passione si è concluso da un po'.
La società reclama il tuo posto nella produzione, e tu puoi solo cedere.

E cederai, stanne pur certo.
Con affetto,
la tua infanzia.
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Della notte prima della Pasqua 2013


Cerca un incipit; qualsiasi cosa, inizia solo a scrivere. Le parole verranno da sé, come deve essere. Sei ubriaco ora (beh, più o meno, o forse al punto giusto), e non c'è momento migliore per conoscerti; accantona il progetto, e scrivi, fluisci nelle pagine, zampillando di qua e di là, così, a caso. Ché tutte 'ste cose studiate alla lunga stufano quelli come te: è a loro che ti rivolgi, lo sai questo, vero? Tu non vuoi un figlio, ma qualcuno che erediti il tuo animo – che misera eredità.
Un modo come un altro per superare la paura della morte, niente di più. Strano? Cosa c'è di più inutile di ciò che la parola “anormale” sta ad indicare? Chi ha dato al diritto all'uomo di valutare se un'azione ha senso o non ne ha? Un giudizio legale è tutt'altra cosa, ma così mutevoli sono le strutture che ci costruiamo per noi stessi, ed il gusto lo è altrettanto, che non si può parlare di “strano” senza riferirsi ad un luogo ed ad un tempo.
Certo, tu vivi qui ed oggi, e il passato ed il futuro potrebbero non esistere, per ciò di cui puoi avere esperienza; la tua stessa vita prima di questo istante potrebbe essere nulla più di una banale impressione – ci hai mai pensato?

Oppure si, rassegnati, non sarai mai altro che un attimo in un'eternità; e, sperando nella reincarnazione del pensiero, scrivi sperando di riconoscerti alla prossima occasione, ma non sai quanto t'illudi. Sarai diverso, un altro, è inevitabile. Non sarai mai più ciò che sei adesso. Ed il mondo non sarà più lo stesso.
Tutti potrebbero essere la stessa persona, ci pensi? Ognuno non farebbe altro che odiare sé stesso, amarsi, stuprarsi, capirsi... Tutti un'identica persona che non può riconoscersi, una e multipla, divertente!
O potresti essere un estraneo, il racconto di qualcuno che non sarai mai messo nelle condizioni di conoscere.
Tutto, e niente. Ecco il dramma.
Il vivere in società prevede per te un viaggio a tappe che mira ad una riproduzione come finale col botto: unico aspetto reale, la necessità di arrivare al punto di saper rispondere all'assillante serie di domande.
Chi sei? Chi vuoi essere?

Sobrietà. Certo so scrivere ancora, e forse anche in maniera più corretta, ma non posso continuare il discorso di ieri; non ne ho l'animo. Se mai dovessi diventare scrittore, o pittore, dovrei preoccuparmi di produrre l'opera in un getto unico, o potrei collezionare la più stravagante collezione di aborti dell'animo mai presentata al mondo. Sono problemi. Sarebbero problemi, se avessi abbastanza autostima da credere che realizzerò qualcosa.
Ed io ne ho di autostima, sul serio. Il problema e che credo di essere il meglio ed il peggio dell'essere umano, ed indeciso tra i due spesso mi ritrovo vegetante.
Chi sei, brutto idiota? Chi vuoi essere, fottuto genio?

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Lettera per Mario.

Ciao fratellino,
come va a Riga? Spero che tu te la stia passando bene!
Ti dedico queste (prima?) lettera inspedita perché mi sono appena svegliato alle 3 del mattino, dopo una serata a base di tequila ed un paio di ore di sonno (in realtà, dopo un lungo periodo di sonnolenza), con la chiarezza mentale di un orso appena rialzatosi dal letargo, che nonostante il torpore ha bene in mente che deve nutrirsi se vuole dare un senso ai mesi di inattività.
Ti scrivo perché ti ho sognato, e man mano che procedo trovo mille cose da dirti, duemila che non ti ho detto prima, centomila che non ricordo: un sogno strano, in cui in realtà eri poco più di una comparsa, ma che mi ha costretto ad alzarmi per recuperare il portatile per prenderne nota, per me e per te, minacciandomi di non concedermi più quiete.
Non ricordo nemmeno con estrema chiarezza il mio sogno: troppo denso di colori, personaggi ed avvenimenti come uno di quei maledettissimi film a grosso budget del cinema di oggi; e proprio come loro, di cui ti scordi appena metti piede fuori dalla sala oscura, in mente mi è rimasto quel minuto scarso di inattesa poesia - quel minuto che alimenta una critica insensatamente entusiastica.
Vabbe', ci sto girando attorno, quindi racconto e basta.

Ci siamo io ed una ragazza (credo fosse Carmela, delle superiori, a giudicare dal modo in cui mi parla di Meo) appena rientrati in una strana ed enorme casa, vuota in maniera incredibile e con un numero esagerato di ingressi: proprio nel controllare che uno di questi sia chiuso, mi affaccio alla porta, di vetro trasparente - per giunta - cosicché il gesto in sè ha ben poco senso, ed in una stanza allungata che non avevo notato prima di aprire la porta trovo alcuni dei miei compagni di classe delle superiori (credo fossero tre, o almeno tanti sono quelli con cui credo di aver interagito). Uno tra tutti, Amedeo ha una strana reazione, quasi euforica, nel vedermi. Carmela mi spiega rapidamente che secondo lui ultimamente mi sto comportando come un pazzo; quando mi riaffaccio per rispondere, Meo conferma il tutto con una frase grammaticalmente scorretta, che però Martino corregge al mio posto. Ringraziato Martino, mi affretto a rientrare in casa.

Quando chiudo la porta - cavolo, è di vetro! come posso non averlo notato prima! - ti trovo lì, in piedi, ad aspettare fuori dall'uscio! Rimango un attimo stupito, ma poi esco fuori ad abbracciarti con una grandissima gioia.

Ecco, è tutto. Per di più, sono quasi sicuro che questo non fosse che un piccolo spezzone del film proiettato in notturna contro l'interno della mia scatola cranica. Eppure, quell'abbraccio continua a tormentarmi, peggio di un sogno erotico, quando ti svegli con un'erezione e già sai che la notte è andata, non prenderai più sonno. Tanto per chiarezza, non è successo niente del genere: ma avrei così voglia di quell'abbraccio, che il pensiero di essere ormai due estranei mi destabilizza.

Una volta, dopo un lungo periodo in cui non ci sentivamo, Federica mi scrisse su msn, e lì per lì non trovai di meglio da scriverle che "come va?". Me ne sono ricordato mentre scrivevo l'inizio di questa lettera per te, ma avevo troppa urgenza di raccontarti la mia piccola avventura onirica per assecondare il discorso che ora vorrei invece approfondire. In pratica, Fede mi rispose che non c'era niente di più triste di quel "come va?", ed all'epoca le risposi che si, nella vita si cambia spesso e che no, non le volevo meno bene solo perché non ci vedevamo più tanto spesso come a scuola, e che bla, bla, bla: in questo momento credo avesse ragione. Ti voglio benissimo fratellino mio, sul serio: mentre mi rigiravo nel letto ho pensato che ti avrei seguito in Lettonia, perché ho davvero una voglia matta di ridere, litigare, di vivere con te! Dico, non è stupido? Siamo in grado di non sentirci per mesi e mesi, e non so se te lo avevo accennato, ma le ultime volte che ci siamo visti ho provato solo tantissimo affetto ed un po' di disagio - ti ho percepito un po' estraneo. Mi affannavo a capirne il perché; non comprendevo come è possibile nel mondo in cui ho visto Greta recisa (te le ho fatte due palle enormi con Greta, vero? è l'unica cosa di cui sento davvero di dovermi scusare, in questa lettera) in maniera così rapida, farsi scivolare tra le mani qualcuno a cui volevo così tanto bene, e non essere in grado di fare niente per impedirlo.
Ma cosa resta della grande amicizia che ci ha legato, più che qualche bel ricordo?
So che la colpa non è tua, e sto cercando di convincermi che non sia nemmeno mia. Forse il problema è che sono così contento per te e per il fatto che ti sei fatto una nuova vita, che al confronto con la mia esistenza da ghiro impagliato ho paura di non essere in grado di fare lo stesso, non so; ma resta il fatto che non ho mai saputo come si "gestisce" un'amicizia, 'ché tutto quello da offrire è la mia onestà, quando resto in un mutismo che non mi so spiegare come quando ti vomito addosso monologhi eterni ed insensati quanto un film di Lynch.

Beh Mariè, credo di averti annoiato a sufficienza.
Spero mi perdonerai se non ti ho scritto in maniera privata, ma mi sentivo più a mio agio nello scriverti in questo modo, invece di rompere il silenzio a singhiozzo dei nostri messaggi.
Ti voglio davvero tanto bene, bro.
Fammi sapere un po' come ti va la vita.

Un abbraccio,
Davide.
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Delle ipotesi

Non facciamo altro che formulare ipotesi; ne formuliamo di continuo, basandoci sui dati che abbiamo a disposizione, e con estremo ottimismo, ogni verifica ed ogni confutazione sono dati in più per la prossima previsione.
Tutto questo per un istante di saggezza in cui possiamo affermare, anche solo con noi stessi:
"Non te l'avevo forse detto?".

Verrà il giorno in cui l'impensabile sarà realtà, ed ognuno si sorprenderà dell'imprevedibile; in quel giorno mi tirerò su ed urlerò a squarciagola che -sì,
effettivamente l'avevo detto.
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Dell'equazione senza soluzione

Se la vita è un'equazione, l'uomo non ha ancora capito come risolverla nemmeno con approssimazioni;
Peggio, non esiste nulla in grado di garantirgli che esista una soluzione.

Un problema senza una soluzione non è più un problema: è una condanna - all'ignoranza, all'insoddisfazione.
Se la vita è un'equazione, è qualcosa di molto simile a "The Game": quando te ne ricordi, hai perso.
Finché cerchi un senso, non lo troverai.
Cerca altro.
Non pensare, Pentothal, fai quello che vuoi, ma non pensare.
Non alzarti.
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Tu

Tu,
ipotetica seconda persona a cui rivolgo le mie lusinghe; ché se il fato mi diede in sorte il dono di esprimermi in maniera antiquata, l'esistenza mi maledisse col timore di rivelarmi apertamente alla persona reale.
Ti chiederei una cosa: e temo tu possa capire quale - non la dirò, per diamine.
Domani, forse.
In eterno, domani.
Sognare, domani;
oggi morire.

Così insignificante è il percorso, che lo traccio di nuovo, una volta, e poi un'altra.
Quando ogni tappa sembrerà una conquista senza che io debba aver inventato un contorto arabesco
sarò felice,
spero.

- Cedi, di già? Non è un po' prestino?
- Che vuoi farci... il mondo reclama.

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Pentothal


Tachicardia alle 2 meno venti.Odio Pentothal più che mai.Avrei voluto essere qualcun altro, qualcuno che non stesse a rimuginare su chi essere alle 2 meno venti; che fosse fuori, o dentro, e basta - invece di avere il corpo dentro e la testa fuori.Ho paura di addormentarmi, e di pubblicare; di essere ignorato, o, peggio ancora (non lo credo, ma suona bene) letto. Pensieri che ritrovano la loro onestà nel suono. Scrivo per calmare i battiti, e non credo funzioni. Oggi ho pensato allo scrivere, alle parole che devono erigere muri bianchi, isolarti dalla realtà, piuttosto che inquadrarla: letteratura di reclusione. Penso a molti, agli impensati; mi scopro a ricordare chi credevo di aver dimenticato, marchiati a fuoco sulla carne.L'odio è un sentimento molto più forte dell'amore.Ma indifferire è più semplice.


Non preoccuparti, lo sai che capita. Buona fortuna.
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Dell'autore

Unknown
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Premettendo

Mi scuso per eventuali errori di battitura, distrazione, ignoranza.
Sono abbastanza puntiglioso, ma scrivendo di getto, capita che mi sfuggano diversi strafalcioni.
Quando (se) rileggo inorridisco per tutti quelli che incontrano il mio occhio; mi sembrano sassi spigolosi su quello che mi piacerebbe che fosse un sentiero erboso da percorrere a piedi nudi.

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