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It's hard to dance with a Devil on your back, so...

Immagine di Kyendo

Di una serata con gli amici

Pur avendo ingurgitato la mia dose standard di veleno, l'effetto desiderato tardava a comparire; il cervello non riusciva ad evadere dalla cella cranica, e le parole che il Demone mi sussurrava all'orecchio s'insinuavano sibilanti nel labirinto, facendosi strada fino al pensiero, e rimbalzando all'interno della testa raggiungevano tutte le pieghe di esso.
- Di cosa stanno parlando? - chiedeva il Demone; - Tu sai che loro esistono finché tu sei disposto ad accettarli come reali. Rinnegali. Elidili dalla tua vita. Solo così passerà questo senso di inappropriatezza, così solo cesserà tutto, e ti ritroverai nel limbo. Solo così cesserai di provare, e così di esistere.-

Non riuscendo a trovare la forza necessaria per sbarazzarmi del debito, continuavo a chiamare i miei neuroni a raccolta, perché ascoltassero il nuovo canto di battaglia, e smettessero di prestare attenzione a quella vocina subdola.

"Shake it out, shake it out
Shake it out, shake it out
Woah

Shake it out, shake it out
Shake it out, shake it out
Woah
It's hard to dane with a devil on your back
So shake him off"
[Shake it out - Florence + The Machine]

Ma appena smettevo di intonare l'inno, la vocina ricompariva ad infestarmi la mente.
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Delle considerazioni banali ed inutili sul pensiero freudiano

Ho appena concluso la lettura di un trattato di Freud su ossessioni, fobie e paranoie, ed ho sentito l'impulso irresistibile di cominciare a scrivere per capire in che maniera sia mutato il mio pensiero nell'ambito della psiche umana.

Inizierò dicendo che prima di leggere il lavoro, ero decisamente restio ad attribuire alle pulsioni sessuali la centralità che lo psicanalista riconosce senza troppi dubbi. Dirò di più: proprio la curiosità di comprendere meglio il motivo che lo spingeva a supportare con tale forza la sua tesi è stata, almeno in principio, lo stimolo principale per affrontare una lettura tutt'altro che leggera, e che in realtà l'impegno richiesto era probabilmente superiore a quello che io ero disposto, od in grado, di impiegare.

Tuttavia, nonostante le numerose critiche che siano state mosse all'autore ed alla sua produzione, è impossibile non riconoscere a Freud il merito di una ricerca scientifica costante e vitale, portata avanti con grande intelligenza; mi riservo, in ogni caso, di informarmi su tali obiezioni in maniera più approfondita.

I miei problemi con ciò che ho interpretato del pensiero di Freud non sono pochi: in più di un'occasione mi è sembrato che egli si apprestasse alla materia come se muovesse i suoi passi da dogmi ed assiomi personali, che forse aveva pur dimostrato per sè stesso in una maniera che gli potesse sembrare efficace. Ma anche qui la mia scarsa conoscenza dell'argomento mi impedisce di pronunciarmi oltre.

Nel seguito, smetterò di parlare cercando di "parare i colpi"; lo farò qui, una volta per tutte, dicendo chiaramente che ciò che scriverò è frutto di impressioni personali, evidentemente suscettibili di errore.

Francamente, il primo ad essere soggetto a "fissazioni" mi è sembrato lo psicanalista stesso; pare quasi che egli, seppur in un primo momento abbia avuto il coraggio di gettarsi nel mare aperto dell'ignoto al fine di conquistare un nuovo atollo di conoscenza, abbia trovato uno scoglietto e vi si sia attaccato come una patella.
Mi spiego meglio.
Freud parte dall'idea che alla base delle psicopatologie vi siano cause sessuali (più interessante il discorso sulla predisposizione alle varie patologie stesse), e scegliendo questo o quell'elemento come punto di partenza, decompone l'esperienza del paziente di turno ricomponendola di volta in volta con artefici, a volte anche discutibili, pur di dimostrare l'efficacia del proprio metodo. Stavo cercando una citazione sul fatto che un paziente ammalato di un morbo sconosciuto otterrà tante diagnosi quanti sono gli specialisti da cui sarà visitato, ma non sono in grado di rintracciare la fonte (Pennac? Dot. House?), e probabilmente la citazione stessa è meno efficace di quello che mi sembra in questo momento.

Tuttavia, pur non sapendo se sia la mia visione ad essere cambiata nel corso della lettura, ed in maniera semi-indipendente da essa (sarebbe una coincidenza assai poco probabile), o se ancora soffro dell'influenza di una mente che tuttavia non mi vergogno di definire brillante, ultimamente sto riconoscendo al sesso un'importanza che prima gli negavo. In questo modo, reinterpreto le relazioni umane in termini di eros: con tale chiave di lettura, la scelta degli amici o l'allontanamento di questi entrerebbe in contatto con la soddisfazione o la delusione delle proprie aspettative erotiche nei confronti di questi. Si noti che dico erotiche, e non sessuali, e mi riservo in un momento che forse non verrà mai di discutere se la scelta sia convinta o frutto del pudore.

Detto ciò, il caldo mi distrae troppo dal discorso, e quindi concludo qui lasciando (momentaneamente?) in sospeso. Mi scuso per le boiate che posso aver scritto, ma se le avete lette, probabilmente ve le meritate (vi piace il sadismo?).
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Di un banale dilemma

Ora come ora, ritengo esagerato affermare di agire in base ad una "filosofia di vita" (sebbene può darsi che lo faccia, pur non avendola ancora individuata).
Tuttavia, sempre più spesso, discutendo con amici, conoscenti e, perché no, estranei, ribadisco la mia posizione: ci rendiamo conto della realtà solo nel momento in cui la percepiamo, e comunque nel modo in cui la rielaboriamo in maniera del tutto personale. Certo, spesso capita di trovare persone che condividano alcune delle nostre percezioni, almeno fino ad un  certo livello (credo che in fondo tale percezione non sia mai la stessa per due persone, ed addirittura in noi stessi essa cambi a seconda delle esperienze vissute e degli stati emotivi), ma questo non basta a convincermi che la realtà "oggettiva", ed intendo quella che dovrebbe pur esistere dal momento in cui noi la percepiamo e rielaboriamo, sia più importante di quella che creiamo in noi e per noi.

Ma... c'è un ma!
In questo quadro, non capisco in che maniera vadano interpretate le relazioni umane, che pure fin dai tempi degli antichi greci (e probabilmente anche prima) vengono elette ad esperienza imprescindibile dell'esistenza umana, diventandone addirittura, in alcuni casi, il fine ultimo.
Il mio dubbio, che probabilmente permetterebbe di comprendere meglio tutto questo mio sproloquio che a tratti potrebbe sembrare insensato (persino a me stesso) è difficile da esprimere in forma di domanda esplicita. In pratica, la mia visione soggettiva della realtà mi porta al contrasto tra la figura dell'altro come parte della mia esperienza e quella dell'altro come creatore di una realtà alternativa alla mia, seppur coesistente, di cui io non sono altro che un attore. Probabilmente non mi sono spiegato ancora bene.
Diciamo che mi sembra di essere l'autore di un libro che parla di un autore che scrive di me (ho davvero bisogno di leggere di più, se questo è il miglior modo in cui riesco ad esprimermi!).
Luca al telefono; continuerò (forse) in un altro momento.
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Della pateticità e del patetismo.


pateticità

[pa-te-ti-ci-tà] s.f. inv.
  • • Tono patetico e commovente, soprattutto in un'opera letteraria:situazione ricca di p.



    patetismo

    [pa-te-tì-smo] s.m.
    • • Carattere sentimentale e patetico; anche, sentimentalismo affettato


    A volte mi sembra impossibile che qualcuno possa leggere qualcosa di mio pugno: sono tremendamente insopportabile (persino in questo momento!).
    Quando mi rileggo avrei voglia di prendermi a pugni.



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Di ciò che ti piacerebbe essere.

Se potessi (ed in realtà potrei, dunque sarebbe meglio dire "Se volessi"... ma visto che se volessi essere qualcosa mi applicherei per diventarlo, ed è abbastanza evidente che così non è... continuo ad esprimermi col "potere") sarei un barbone. O un attore. O entrambi, contemporaneamente, o prima l'uno e poi l'altro, o viceversa.

Forse il modo più corretto per formulare la cosa è: se ti venisse offerta la possibilità di essere qualcun altro senza, cambiando radicalmente (o meno) la tua vita, in maniera tale che tu non debba effettivamente sentire di aver dovuto rinunciare a qualcosa per diventarne altro... cosa chiederesti di essere?

...
D' accordo. Facciamo così. Scordiamoci la prima risposta, e le spiegazioni che ancora mi frullano in testa, ma che a questo punto sono completamente inutili.

Se dovessi essere altro, mi piacerebbe essere qualcosa che non s' impelaghi inutilmente su una domanda idiota.

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Di una storia.

- Di cosa ti piacerebbe scrivere?
-...

- C' è un ragazzo.
- Ce ne sono tanti; altri ce ne sono stati e ce ne saranno. Cosa ha di speciale questo ragazzo?
- Lui... lui cerca la sua strada, la sua vocazione.
- Un po' come tutti. - Mi fa osservare.
- O quasi! - La correggo.
Non ride. Nemmeno un accenno di sorriso. Mi scuso.
- Fa niente. Sai che stai usando la punteggiatura sbagliata?
- Chi lo ha deciso?
- Non saprei. Ma è così.
- Alcuni hanno abolito la punteggiatura, prima di me.
- Si, ma lo hanno fatto con uno scopo, per rafforzare il messaggio dietro le loro parole. Ma tu dubiti persino di avere un messaggio da trasmettere.
- Ci penseremo poi. - Concludo.
- Come preferisci; ritorniamo al tuo ragazzo: hai detto che cerca la sua strada. Come?
- Aspettando che la corrente cambi direzione, aspettando quella che lo porti alla meta.
- Ovvero?
- La felicità.
- Sembra abbastanza banale - Storce la bocca.
- Lo so.
- E ... aspetta, e basta? Non cerca la corrente giusta per lui?
- Non saprebbe dove guardare. Sulla riva ha conosciuto diversi altri ragazzi, ed alla fine tutti si sono tuffati. Altri hanno preso il loro posto, ma dopo un paio di ricambi si è stancato di accendere sentimenti destinati a spegnersi, perché ogni volta che deve salutare qualcuno, si spegne un po' anche lui: ma sa che non può permettersi una cosa del genere, perché anche una volta trovata la corrente giusta, si aspetta un viaggio poco riposante, e deve riuscire a conservare le sue energie.
- Dimmi di più.
- Non si è reso conto che in realtà è già trascinato dalla corrente, da un'altra, non la sua. Ogni tanto lo intuisce, ma il fiume scorre così lentamente che quando succede osserva le acque, e le vede immobili. E allora ricomincia tranquillamente ad osservare.
- Mi sembra che in realtà sia assolutamente consapevole di non essere davvero fermo.
- ...

- Forse... anzi, hai quasi certamente ragione. Allora diciamo che non vuole ammetterlo con sé stesso.
- Perché? Quale problema ci potrebbe mai essere nell' ammettere che la sua situazione è diversa?
- Non saprei... Qualcosa che ha a che fare con l' orgoglio, forse. Ecco, non potrebbe più vantarsi della propria ostinazione, o qualcosa del genere, insomma.
- Scusami, ma onestamente mi sembra abbastanza stupido. Se non sa da dove parte, progetterà per sempre un viaggio impossibile.
- Magari in realtà non gli interessa nemmeno raggiungere la meta: può darsi che preferisca programmare il viaggio. Immaginarlo.
- Piuttosto che viverlo... Come se qualcuno intendesse diventare chef senza il senso del gusto, o pittore senza la vista, o musicista senza udito, e si dedicasse a studiare la propria arte pur sapendo che in realtà non avrà mai l' occasione di abbracciarla per intero. Secondo me dovrebbe ammettere che la meta ed il viaggio che sta scegliendo per sé non sono quelli adatti.
Non ho ben afferrato la similitudine, ma le è uscita dalle labbra in un soffio così convincente e spontaneo, che mi sorprendo ad annuire.
- Torniamo all' inizio, dunque. Se non sa quale sia il viaggio, ma attende... come definirla... una sorta di ispirazione, come puoi dire che il viaggio che ha scelto per sé non è quello giusto? Come puoi dire che la sua meta non sia quella giusta?
- Lo hai detto tu, prima di me. Ho soltanto tradotto in una maniera più esplicita.
Potrebbe aver ragione, e la cosa mi terrorizza. Non so cosa dico, ma lo dico; millenni di evoluzione del cervello che se ne scendono allegramente per lo sciacquone di sua divinità, il Caos.

- Se aprisse una sorta di agenzia di viaggio? Consigli per gli impavidi. Stando sulla riva ha ormai imparato a capire gli altri ragazzi, o almeno così gli pare. Sa individuare la corrente per gli altri, ma non la sua. Magari la sua è una pozzanghera, e lui ci sguazza dentro già da un po', senza che sia stato mai in grado di accorgersene.
- E dove lo ptrebbe mai condurre un pozzanghera? Quale straordinario viaggio impervio potrà mai affrontare, fermo sempre nello stesso posto?


Mi sono interrotto. Ho perso il filo, ancora una volta.
M. se n' è accorta.
- Riflettici un po' su; quando avrai una risposta decente, sai dove trovarmi.
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Di qualcosa, decidi pure quello che preferisci!

Tutto è iniziato mentre leggevo in poltrona: la pelle del rivestimento mi scaldava la schiena (compreso il fondo), ed il mio cane, generosamente, mi scaldava il pancino (che di ino ha ben poco), riuscendo tuttavia ad occupare metà della seduta; contemporaneamente, Grossman mi scaldava l' anima. Troppo calore per un' afosa serata estiva.

Ad un certo punto, ho guardato Tara negli occhi; sono ormai un bel po' di anni (inutile buttare cifre a caso, non ricordo il numero esatto - Iole riderebbe pronunciando con voce acuta "Alzhaimer") che siamo assieme, e le ho chiesto se se ne rendesse conto. Ovviamente non ha risposto niente - non a parole, comunque.

Ma i suoi occhi. Così dannatamente grandi. Quando li fisso con attenzione mi sembra di annegare nelle pupille grosse quanto biglie, nere come la notte in Sardegna. Mi sono reso conto che, prima o poi, abbandonerà il mio presente e continuerà a pretendere carezze dove io non potrò più lamentarmi della sua affettuosa insistenza; il tempo perso senza lei, anche ora, mentre l' ho allontanata per poter annotare qualche pensiero vagante, mi sembra un crimine insensato.
Però... potrebbe essere anche il contrario.
Chi può dirlo?
Il fatto che i cani vivano meno degli uomini non significa necessariamente che non potrei essere io ad andarmene (dove?) per primo; sorrido mentre penso che manterrebbe alto il nome di Hachiko, eppure mi auguro che mi dimentichi in fretta, che torni a correre avanti ed indietro sul balcone per abbaiare alla sua simile invisibile, che vive oltre la torre in cui è stata rinchiusa.

Il destino dell' uomo, fin dalla nascita, è quello di intrecciare relazioni. Fin dal momento in cui gettiamo il nostro primo sguardo sul mondo, abbiamo già in noi il rapporto con l' incubatrice vivente che ci ha scarrozzati in giro per tre quarti di anno; persino i più sfortunati, non possono fare a meno di ripensare al legame materno, una volta che la coscienza inizi a far capolino nel cranio.
E comunque, nessuno può evitare di incontrare qualcuno: al più, può decidere di tenere a distanza chiunque.

Sto divagando, ma come al solito va bene così; alla fine scelgo sempre la via meno agile per la meta, ed a costo di interrompermi bruscamente e di dover ritornare sui miei passi, non voglio perdermi la spontaneità di una passeggiata solitaria.
Almeno qui non dovrei incontrare nessuno... (M. ride, da qualche parte, nascosta dietro un albero dalla corteccia particolarmente rugosa)
La ignoro, oggi non mi va di parlarmi.

Dicevo: tutto bello, tutto carino, fino a che uno dei due elementi in relazione sconvolge le carte in tavola.

Non posso credere che ci si abitui agli addii; credo che sa le persone riuscissero a scrutare la definitività di questo vocabolo, non lo sentiremmo (o leggeremmo) così spesso. Ogni addio è la separazione permanente di due entità; è la cessazione totale di una delle due; parziale per l'altra (e dunque totale anche per essa, in qualche modo). 

Insomma, scrivo frasi, ed a volte le cancello per evitare di giungere alla domanda che mi assilla, e quindi la riporto, a bruciapelo:

"Vale la pena di amare, sapendo che prima o poi finirà? Che qualcuno soffrirà così tanto poter considerare l' idea della morte, piuttosto che sopportare il dolore?"

Che nessuno sarà talmente contento da non pensare a vivere, pur di non godere del piacere?
Ho provato ad invertire il senso della seconda domanda, a pezzi, probabilmente compiendo qualche errore in più di quelli fatti intenzionalmente - ma ancora una volta, non ha alcuna importanza.

...

Gente in casa. Corro il rischio che qualcuno legga. Non mi va. E comunque, ho perso il filo.
Lo ritroverò. O magari no. Poco importa. Teodora (cosa le sarà successo? ho la sensazione che venga investita, nonostante Grossman non lo dica esplicitamente) direbbe che non esistono cose senza importanza. Magari potrebbe avere ragione.

Valuterò.


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Dei pensieri che mi vengono leggendo Bukowski, ma non necessariamente a lui leggati

Diciamolo francamente: inseguo una laurea che non mi interessa quanto dovrebbe per cercare di adattarmi ad una società che non mi rispecchia. Avrei bisogno della macchina strizza-fegato per riuscire ad adattarmi al mondo, e forse mi sottometterei spontaneamente al trattamento dopo un mesetto di bagordi.
Suonerà triste, ma non nutro grandi speranze sul futuro. O cambia il mondo, o cambio io; ed il mondo si basa su troppi millenni di stupidità in più di quanti io ne possa mai collezionare.
Sarò ripetitivo, ma forse la vita era più reale quando si combatteva per sopravvivere; i nostri avi hanno impiegato secoli e secoli ad accumulare saggezza e regole per garantirci la felicità ma, come accade quando i genitori si dimostrano troppo amorevoli, ci ritroviamo sotto una campana di vetro, soffocati dalla bambagia e quasi completamente incapaci di evadere dalla nostra prigione. Ma questo è "normale", l'idea l'ho deglutita da tempo, e la digestione è a buon punto.
Ciò che mi terrorizza è che aspetto di diventare un ingranaggio, per sentirmi parte del meccanismo: so che una vite dimenticata in un angolo perché superflua o difettosa ha poche chance di trovare un genio in grado di apprezzarla. Tutte le viti ancora inutilizzate, e le rondelle ammucchiate nello scatolo si lucidano a dovere per cercare di attirare l'attenzione dell'incapace artigiano di turno. Le più ambiziose cercano di diventare artigiani di sé stesse e per un po' riescono a dare alla loro esistenza un significato; ma alla fine scoprono di essere sempre stati nella catena di montaggio di Sua Eccellenza, la Stupidità Umana.

Nasci, cresci, studi, lavori, crei una famiglia, muori. Per secoli abbiamo avuto la faccia tosta di procreare la nostra specie impudente; abbiamo costruito rifugi per i randagi e trappole per gli uomini, contribuendo ad alimentare la confusione su argomenti come etica, morale, diritti e doveri.
Abbiamo... hanno! Molto umilmente posso accusarmi di essere ancora l'inutile individuo che sogna un mondo diverso, e cerco di convincermene con scarsi risultati.
Sono la voce che fa perdere il senso della vita; sono il sussurro che ti suggerisce di imbracciare un arma e di aiutare qualche povero malcapitato a concludere la sua tristezza. Sono la lucidità dopo l'orgasmo.

Vivere in questo modo è una sciocca via di mezzo tra libertà e prigionia: quale modo poi? Non saprei nemmeno descriverlo; vivere con l'illusione di potere tutto, quando tutti ti instillano ciò che devi ottenere.
Allungare la vita per aver più tempo da perdere, e guadagnare di più, per spendere di più, per arricchire di più, in modo che qualcuno, te compreso, possa scordarsi più a lungo della propria inutilità.

Illudiamoci, dunque, perché davvero non c'è altro modo per trascinarci sino a domani.
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Del quid

C'è qualcosa che non va; un ingranaggio che non funziona a dovere in quell'antichissimo ordigno che chiamano "cervello". Un errore di programmazione, qualche collegamento sballato che si rifiuta di trasmettere le informazioni in maniera corretta.

Non posso credere di aver paura di allontanarmi da una persona perché associo la situazione alla morte; eppure al solo parlarne sento un inquietante senso di vuoto nel torace e sotto i piedi. 
Le vertigini sono il modo che il mio corpo sceglie per comunicarmi che è d'accordo con me, un modo che spesso detesto quasi quanto il messaggio stesso.
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Della svolta in vista

Esame preso; mezzo per la precisione, ma è un inizio.
E poi giù, ad affogare; per fortuna domani sarà una giornata sensata, finalmente. Gli impegni sono una fragile liana che mi trattiene dallo sprofondare nel pantano di me stesso.
Gli amici ci provano, costruiscono catene umane, e per un po' riescono nella loro impresa, ma poi lascio la presa, e affondo un po' di più: attualmente mi sento il fango alla gola.

Se tu (perdonami, torno a parlarti come se fossi in grado di sentirmi) fossi qui, avremmo passato una serata stupenda insieme.
Se tu non fossi mai stata, almeno per me, avrei passato una serata stupenda con i miei amici.
Ma tu eri, e poi hai smesso di essere, e nonostante non sia colpa tua non riesco a smettere di incolparti di aver fatto smettere con te anche una parte di me stesso; la parte che in date specifiche sa che il sonno è l'unica alternativa al pensiero, perché dormendo, almeno, le palpebre possono arginare le lacrime.

Insomma, buon compleanno; spero mi scuserai se anche quest'anno non ho avuto il coraggio di portarti un pensierino.
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Di una sera futura, accanto a mio figlio.

- Papà, papà! Corri!

Ci risiamo: scende la notte e non ne vuol sapere di rimanere nel letto da solo. Pensare che alla sua età non vedevo l'ora che il sole se ne andasse a dormire per nuotare un po' nell'oscurità: la sentivo avvolgermi, densa, ed agitavo le braccia come se fossi in uno sconfinato oceano in cui mi era straordinariamente concesso di respirare. La colpa deve essere della televisione, alla ricerca di emozioni troppo facili. Risultato: viviamo da pisciasotto fino a quando non ci desensibilizziamo del tutto. Un vero affare!

Cammino nel corridoio ed apro lentamente la porta della cameretta, che rimanendo perennemente accostata, ci concede qualche sporadica sera di intimità. Come al solito, è seduto sul letto con la schiena appoggiata alla testiera e le coperte per metà sul pavimento (davvero, oggi fa un caldo insopportabile!), e mi guarda con gli occhi gonfi di paura e dispiacere per non essere riuscito a mantenere la nostra promessa.
Ancora convinto che qualche mostro stia aspettando solo che chiudi gli occhi? Abbiamo già controllato nell'armadio, nei cassetti e sotto il tuo lettino, e come al solito non abbiamo trovato niente!

- Lo so, papà... ma...
Pausa singhiozzo, non sa cosa dire (il che in realtà è piuttosto raro); poiché mi sembra molto agitatolo interrompo prima che riesca ad inventare qualche scusa plausibile e mi offro di raccontargli una storia.

- E resti finché non mi addormento, me lo giuri?
Si cucciolo, lo giuro, lo giuro: veglierò su di te finché non sarò certo che gli orchi, le streghe e i vampiri (che hai smascherato dietro l'aspetto innocuo dei nostri poveri vicini) non avranno rinunciato alla caccia per stanotte.

Sistemo una sedia accanto al comodino, nella posizione strategica che mi permette di illuminare le pagine del libro e, allo stesso tempo, di controllare che non ci siano esseri sovrannaturali fuori dalla finestra, al di sopra della scrivania, e comincio: C'era una volta...

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Di quello che ti frulla in testa in questo momento

La monogamia è un'invenzione per facilitare l'orgasmo di alcune donne. Il perbenismo ha concesso a tale invenzione di diffondersi in quasi tutte le società.

Alcuni resistono.
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Della creazione di universi alternativi

"Se"...

ed ecco un nuovo mondo, prima o dopo, magari entrambi contemporaneamente, oppure mai; in una dimensione priva di spazio e, sopratutto di tempo, infiniti universi senza confini ordinati su scaffali eterei contengono la risposta ad ogni bivio ipotetico che l'uomo si sia mai posto, persino prima della posizione del dubbio stesso.

Due lettere, ed immagino una nuova oscillazione di questo mondo che oscilla tra un Big Bang ed un Big Crunch.
Chissà se...
... se ogni volta l'universo si ricrea perfettamente identico a sé stesso.
... se ogni volta una microscopica variazione crea esistenze completamente differenti.
... se in realtà non siamo il microscopico di qualche macroscopico, o viceversa; o entrambi.

Chissà se non siamo anime in attesa di reincarnarci, o se tutto ciò che ci aspetta il nulla.
Magari le possibilità coesistono davvero: e nel momento in cui provo ad immaginarlo, ho creato un nuovo universo, e sono il dio di miliardi di mondi, idea a mia volta di qualche altro fannullone rimuginante.

Chissà se avrò mai le risposte che cerco, e se da qualche parte esse mi appartengono già.
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Della richiesta dell'indirizzo del blog


ti ordino di inviarmi il link del tuo blog! 
(la colpa è mia perchè ho scioccamente creduto che me lo sarei ricordato,però mi appello al fatto che una donna che urla in ogni modo suscita compassione e senso di colpa)


Così Enrica mi ha gentilmente chiesto l'accesso a questo covo di banali mostriciattoli, a questa tavolozza di pastrocchi cerebrali che ogni tanto accoglie un nuovo parto.
Nel chiedermi se fosse il caso di consegnarle l'indirizzo del mio nervo scoperto... penso, rifletto, deduco, trascrivo ed appunto.
Dubbi sul dare libero accesso alle mie parole, che comunque regalo agli inesistenti visitatori delle mie pagine; non capisco nemmeno il motivo della mia ostinazione.
Di continuo mi crogiolo nella consapevolezza dello scarso valore letterario dei miei periodi, pur covando nei loro confronti una sorta di segreta fierezza (ho in mente una robusta ragazza di colore che gesticola spasmodicamente urlando "Orgoglio! Fierezza!"... mi odio per questi pregiudizi insiti nella mia mente, ma in realtà adoro quest'immagine); e so che non basterebbe una persona a minare la cerimonia di auto-celebrazione che si svolge in eterno nel mio cranio, o a zittire i fischi dei manifestanti che richiedono a gran voce che tale scempio cessi all'istante.

-Le darò l'indirizzo, sia ben chiaro; ma prima volevo scriverle una sorta di benvenuto.
-Così almeno saremo in due a sapere di me!
-Per favore, fa' silenzio, che in questa storia non c'entri assolutamente niente!
M. si allontana, decisamente infastidita, e per una volta la trovo assolutamente impotente: esattamente come lei sia convinta di esserlo.
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Dell'età, e dei suoi subdoli trucchetti

L'età anagrafica ha poco valore, giusto quello di permetterci di stimare la data della nostra morte (anagrafica, anch'essa), in base alla vita media del nostro secolo, continente, sesso.
L'età "biologica" mi sembra già più interessante: non saprei citare la fonte (dannata memoria!), ma da qualche parte ho letto che nasciamo già più vecchi dei nostri genitori ed antenati.

Ma ciò che trovo assolutamente fondamentale è l'età letteraria: la biblioteca personale è in grado di dirci di una persona più di quanto essa stessa sappia fare, e certamente più della sua età anagrafica.
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Degli scivoli sonori

Onde di parole, provenienti dalle sorgenti oltre i confini del cosmo, attraversano uno o più universi individuali, talvolta il vuoto, finché infrangendosi l'una con l'altra, crescono in potenza, o si annichiliscono -può capitare- a vicenda: ed è dialogo.
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Della smantellazione delle certezze

"Se solo la gente capisse..."
Trovo questa frase così meschina! Cosa è che la gente non capisce? Peggio: cosa credi (e credo, cosa crediamo, insomma) di capire più della "gente"? Chi è poi questa "gente"? I parenti, gli amici, i conoscenti, gli sconosciuti, tutti assieme, o parte del tutto.

Odio le certezze, ed ogni loro forma (odio il fatto di essere certo di odiare, pur non sapendo se io, o l'odio, o le parole, o il mondo siano reali, e in che misura).
Da grande vorrei fare lo smantellatore di certezze.

Ecco, i derivati di "smantellare" mi vengono segnati come errati. Che goduria: li lascerò come sono, e mi consolerò col dubbio di averli scritti in maniera corretta: continuerò a dubitare della loro esistenza.
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Della necessità di una conferma

-Si, d'accordo, sei pazzo: possiamo andare a letto adesso?
-Eh no, tu non conti! Non vale! È come se un atleta potesse valutare da solo la propria performance! Devono essere gli altri a dirmelo: possibilmente di persona!
-Vuoi che ti sia dato del folle, insomma, ed in faccia, inoltre.
-Sarebbe tanto strano?
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-Che poi, non hai mica necessità di dormire, a pensarci bene!
-Questo lo dici tu!
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Dello scaturire delle sensazioni

-Perché piangi?
La guardo con sospetto.
-Se hai intenzione di chiedermi cosa si prova a piangere, sappi che non è il momento migliore.
-Ti ho chiesto altro mi pare.
-Scusa; il dolore ama nascondersi a sé stesso. Comunque è passato.
...
-Ricordati di ringraziare Pierpaolo.
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Dell'universo tangente

Donnie Darko rappresenta la parte di noi che è costretta a soccombere nel compromesso della vita sociale, per come essa risulta definita oggi in base alle interazioni umane del passato.
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Del pericolo dell'auto-isolamento

-Non sei isolato, smettila di fingere per ingraziarti le folle(?)!
-Ti cerco troppo, oggi.
-Stavo per fartelo notare io, ma a quanto pare sei stato più veloce.
-Potresti almeno lasciarmi finire di vedere il film?
-Sei tu che mi cerchi, non scordarlo!

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Della cancellazione dei baluardi della civiltà

M: "Certo, e di cos'altro, altrimenti?"
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Delle associazioni mentali

-Vorrei vedere un film assieme a te.
-Non mi sembra una cosa così complicata, perché non provi semplicemente a chiedermelo?
-Per colpa tua. E di mio fratello.
-Tutti hanno un passato.
-Si, ma mentre il mio è morto è sepolto, il tuo è ancora importante, forse più per me che per te.
...
-L' ho trovato un po' di cattivo gusto.
-Lo so; ma mi piace che sia tu a dirmelo.
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Della perdita del controllo sulle proprie creature

- Rivedere, a distanza di tempo, qualcosa che ha significato tanto per te, ed accorgerti che ormai sei una persona diversa (si proprio tu, che in continuazione ti lamenti della tua staticità!)...
- La staticità è un concetto istantaneo: capisci cosa intendo?
La guardo e penso a Malaussène: "la morte è un processo rettilineo".
...
- Hai ripreso a descrivere le mie azioni? Sai come la penso a riguardo!
- Ah, no! Non stavolta! Non ho descritto nessuna azione. Le tue parole sono le mie, come lo sono sempre state; ma non c'è altro.
Rileggo, per essere sicuro di quello che dico.
Tanto, so già dove è il tranello.
- Hai capito, vero? Ci sono, e non dovrei esserci. Mi correggo: non ci sono. Ci sei solo tu, sul tuo letto, a sfogarti perché non sei riuscito a mandarmi un messaggio.
- Sei impegnata, ricordi?
...
- Cosa vorresti scrivermi?
- L'ho dimenticato!
-Allora chiudiamo qui questa conversazione.


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Della disparità della situazione umana.

Mentre ero sul water, a cercare di recuperare il filo dei miei pensieri ingarbugliati per comporre il  post precedente, ecco che, d'improvviso, il citofono squilla: all'altro capo una voce infantile pronuncia qualche parola in una lingua che non conosco, e alla mia rinnovata richiesta di presentazione risponde:
-Mangiare!
Dopo un eterno momento di imbarazzo, ho riattaccato.

Non sono cattolico, e non ho alcuna intenzione di parlare del florido stato Vaticano o delle suppellettili del suo Capo (eppur l'ho fatto), né tanto meno di ricorrere alla morale cristiana; è la morale umana che mi assilla.
Scrivo da un notebook Asus che ho pagato intorno ai 600€, e nonostante non sia un fanatico delle marche, al momento indosso abiti per circa 90€; ho il frigorifero stipato di alimenti dietetici, perché da buoni frutti della nostra generazione in famiglia abbiamo speso troppo per mangiare, ed ora spendiamo ancora più per mangiare meno; ogni mese riesco a racimolare circa 250€, e sono certo che annualmente consumo quanto e più di intere famiglie meno fortunate.
Puri capricci, a volte geografici, del caso.
Scrivo questo nuovo post perché mi sento in colpa, e perché sono sorpreso di come il mondo, ed io con lui, sia stato in grado di mettere a tacere la propria coscienza.
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Dei dialoghi con la mia controparte mentale.

-Cosa c'è?
-Ti spiace se ti chiamo in causa? Ho qualche problema a tradurre il mio caos cerebrale in frasi sensate. Cercherò di descrivere i tuoi atteggiamenti il meno possibile, ti avverto, per evitare di ricadere in questioni già affrontate.
-Una sorta di stupro, insomma.
-Non se tu mi autorizzi.
-... comincia pure.
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Di ciò che governa il mondo.

Caos e determinismo sono due facce della stessa medaglia, e non soltanto coesistono, ma sono l' uno parte determinante dell' altro: coincidono, entro opportune ipotesi (ma probabilmente anche fuori di esse).

Soffermandomi a ragionare sul mondo così come lo conosciamo quotidianamente, a velocità decisamente inferiori a quelle della luce e ad energie senza pretese di onnipotenza, ho avuto un'improvvisa illuminazione: le infinite relazioni causa-effetto scatenate da ognuna delle incalcolabili azioni compiute dagli innumerevoli esseri presenti sulla terra (poco importa se con coscienza o meno), si sovrappongono al punto che il pensiero di determinare la causa scatenante di un evento mi sembra ridicolo quanto quello di determinare esattamente la provenienza di una goccia d' acqua nell'oceano.
Quando il determinismo ha a che fare con l' infinito numerabile, ecco che si genera il caos.
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Della vendetta dei sogni

Mi addormento alle 5:30 guardando "the Dreamers"; mi sveglio poco prima delle 7:00, quando in sogno la mia versione di Isabella insiste con l' indice sul sangue che mi si è raggrumato sulla gamba sinistra, ed avverto una curiosa sensazione, come di una lieve corrente elettrica che mi scorra sotto la pelle. Mi rendo conto troppo tardi di non avere alcuna ferita sulla gamba, ed è un peccato: spero, riaddormentandomi, di scoprire la restante parte del sogno.

M. se la starà spassando come una pazza, da qualche parte, nella mia testa.
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...About Life!

Ti svegli;
Organizzi;
Disegni improbabili sagome sulla sabbia fiorita di bocciuoli in lattice rosa e stantuffi di plastica;
Indossi gli abiti che vorresti ogni giorno;
Ti immedesimi e poi improvvisi;
Bevi cocktail di sorbetto e vodka;
Mangi dalla nonna con dei capelli smeraldini;
Prendi un caffè con gli amici;
Fai scorta per festeggiare un' importante tappa.

Se ogni giorno fosse così privo di preoccupazioni,
la vita sarebbe decisamente più semplice!
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Dei pensieri che mi turbinano in testa una domenica di marzo

Non riesco nemmeno più ad afferrarli, i miei pensieri; tutto quello che percepisco è un vortice scuro che ogni tanto mi manda delle fitte dall'interno del mio cranio, e che si diffonde al resto del corpo in maniera lenta ed inarrestabile. Non so come fermare tutto ciò, ed aspetto fiducioso il prossimo momento in cui me ne sarò dimenticato per il mio quarto d'ora di leggerezza.
Mi sento completamente sopraffatto da qualcosa che non riesco ad identificare, ma la stessa parola "sopraffazione" fa scattare un campanello d' allarme: il problema è che mi sento sopraffatto da tutto. Senza alcuna intenzione, ho creato per me stesso un registro di comportamenti a cui mi attengo più o meno pedissequamente, credo per cercare di gestire al meglio le varie situazioni; eppure, il momento in cui mi sento più sollevato è quello in cui tutta questa chiarezza svanisce. Siccome, però, non ho modo di controllare gli alti ed i bassi del mio umore, poco importa se tale annebbiamento venga indotto; ciò che mi preme è entrare in contatto con la parte di me che viene soffocata dai miei registri comportamentali, e pensare e riflettere lasciandomi alle spalle i problemi reali, per il solo gusto della ricerca inconcludente del mio "Santo Graal" personale: l' origine di tutto, lo schema principale, che mi permetterebbe di desumere ogni aspetto della vita reale in maniera consequenziale.

Di seguito riporto parte della ricostruzione, fino al punto in cui sono fermo oggi; col tempo potrà sembrarmi un' esilarante ed inutile sega mentale, e magari rileggendo proverò imbarazzo, ma oggi preferisco prendere un po' di appunti.
Il mondo, o almeno la sua parte materiale, è scritto in termini matematici, ho pochi dubbi a riguardo: ogni sostanza che ci circonda è un polinomio più o meno complesso di atomi, e la maniera in cui due sostanze si distinguono l' una dall'altra è la presenza, o l'assenza, di una parte del proprio polinomio strutturale, il che ci conduce al problema della "presenza o assenza" di un' informazione, probabile conseguenza del dualismo fondamentale "esistere o non esistere", "vivere o non vivere"; in termini matematici, col sapore tutto informatico di un linguaggio che è in contemporanea il più semplice ed il più complesso di tutti, diremmo " 1 o 0". Per risalire ulteriormente lo schema dovrei riuscire a comprendere da cosa derivano l' uno e lo zero, ma al momento le mie conoscenze di analisi matematica si dimostrano insufficienti, ed ora come ora non saprei se cercare la soluzione altrove.
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Premettendo

Mi scuso per eventuali errori di battitura, distrazione, ignoranza.
Sono abbastanza puntiglioso, ma scrivendo di getto, capita che mi sfuggano diversi strafalcioni.
Quando (se) rileggo inorridisco per tutti quelli che incontrano il mio occhio; mi sembrano sassi spigolosi su quello che mi piacerebbe che fosse un sentiero erboso da percorrere a piedi nudi.

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